raffaele solaini
raffaele solaini foto

Non mi sembra proprio una gran trovata la nuova campagna contro le discriminazioni sessuali lanciata dalla regione Toscana. L’immagine del neonato che succhia un pollice e, al tempo stesso, porta sul polso una fascetta recante la scritta “homosexuel” è sgradevole e inefficace.

Su quella fascetta i neonati portano normalmente impresso il loro nome proprio, non il segno di una precoce affiliazione a un genere, quale che sia. Nome proprio che, come ogni nome proprio, non significa nulla, ma serve solo a distinguere il portatore, a renderlo riconoscibile. Ogni altra determinazione è ancora di là da venire. Recita l’adagio latino “nomen, omen”, il nome è segno del destino, ma il destino è, nel momento della nascita, ancora aperto e interamente nelle mani dell’individuo. O così, almeno, mi piace pensare. Nell’immagine, invece, quelle mani, quei polsi già marchiati, appartengono fin dalla nascita a una categoria, che se ne appropria. Se anche il dado del futuro orientamento sessuale del pargolo fosse tratto, un oracolo dotato di un minimo senso di eleganza sarebbe rispettosamente reticente e non rivelerebbe il segreto.

Se proprio le interminabili discussioni familiari non avessero condotto a scegliere il nome della creatura, allora, avei trovato opportuno indicarne, all’opposto, il genere ultimo. Uomo. Non uomo, che si contrappone a donna, e tantomeno omosessuale, sconcertante confusione delle categorie semantiche, ma uomo, perché capace di amare. E quindi anche di superare le barriere che le successive inevitabili differenziazioni produrranno. Non nego che l’omosessualità sia una differenza, ben inteso. Ma penso che ogni differenza si stagli su uno sfondo di somiglianze. E che riconoscere le somiglianze, il comune denominatore, sia l’unico modo per dare un senso alle differenze e fare in modo che queste non si riducano a una assurda ghettizzazione.

Quale che sia la componente genetica nella determinazione dell’omosessualità, mi sembra assurdo, contraddittorio e inefficace lottare contro le discriminazioni, rivendicando una differenza. Tacciando una discriminazione, prima che essa sia operante e pertinente. Rivendicando addirittura l’incapacità di scegliere e quindi l’impossibilità di assumere la responsabilità dei propri comportamenti sessuali. Sono questi, del resto, gli stessi argomenti sui quali la Chiesa ha basato la sua campagna discriminatoria. Del tutto al contrario, avrei mostrato un neonato che sarà capace di amare con la stessa voluttà con la quale si succhia il pollice. Chi, lo sceglierà lui. Non è affare nostro.

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(Affaritaliani.it, 24-10-2007)